• FAKE NEWS

    Eccoci qui, a un passo dall’estate e, soprattutto, prossimi all’appuntamento più temuto dell’anno: la terribile prova costume!

    L’ananas fa dimagrire!

    Per me zucchero di canna, grazie!

    La dieta iperproteica mette massa!

    Mangio poco così dimagrisco!

    Elimino i carboidrati per dimagrire!

    Che la pasta faccia ingrassare e l’ananas dimagrire è una falsa verità  che si tramanda da generazioni , “non esistono alimenti buoni né cattivi: tutti vanno inseriti, nelle giuste proporzioni, nell’ambito di una dieta sana e varia” [Leggi ancora…]

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  • I cibi termogenici.

    I composti termogenici giocano un ruolo importante nella perdita di peso; la termogenesi si ha quando il corpo utilizza i grassi immagazzinati come fonte di energia, creando calore aiutando a dimagrire mangiando .

    La Nutrizionista Daisy Connor, ha condotto degli studi scientifici identificando questi cibi ma ha precisato che l’idea di una dieta completamente a base di cibi a calorie negative è potenzialmente dannosa, poiché concentrandosi esclusivamente su cibi a basso contenuto calorico come un mezzo per dimagrire si può incorrere nella carenza di grassi e proteine, vitali per la salute ma inserendo questi cibi in un piano alimentare corretto, si ottengono ottimi risultati, infatti la presenza di fibre rallenta il rilascio di energia.

    Per questo motivo, la prossima volta che avrete voglia di prendere un biscotto o una patatina, provate invece a sgranocchiare del sedano, un cetriolo o una mela. [Leggi ancora…]

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  • LA CURCUMA

    La curcumaLa curcuma e’ un potente antiossidante e anti-infiammatorio,

     

    (antica medicina usata da sempre in tutto il Sud-Est asiatico), utile per trattare numerose malattie

    croniche dalle malattie cardiache, diabete fino alla demenza. Essa è in grado di ridurre l’infiammazione cellulare e lo stress ossidativo che causa le malattie degenerative. Migliora il flusso sanguigno, portando ad un miglioramento della funzione cognitiva e della velocità di guarigione delle ferite.

    Meno di un cucchiaino al giorno di curcuma è in grado di ridurre significativamente la capacità del DNA di trasformarsi e formare cellule cancerogene.

    Queste affermazioni sono scaturite da diversi studi condotti nel tempo:

    • Alcuni ricercatori della UCLA Jonsson Comprehensive Cancer Center hanno dimostrato che somministrando a pazienti affetti da tumore alla testa e al collo due compresse masticabili contenenti 1000 milligrammi di curcumina ciascuna, la diffusione delle cellule maligne si è fermata.
    • Con uno studio nel 1987 si è dimostrato gli effetti della curcumina sulla mutagenicità (capacità mutanti del DNA) di alcune tossine e ha scoperto che la curcumina è un antimutagene efficace contro diverse sostanze mutagene e cancerogene ambientali e standard.
    • Un recente studio pubblicato sull’International Journal of Oncology ha dimostrato che la curcumina attiva efficacemente l’apoptosi delle cellule di cancro al fegato, il che significa che ha spinto queste cellule dannose a morire.

    Secondo il Dr. Marilene Wang che ha guidato la prima ricerca, è necessario assumere curcumina concentrata per avere questi effetti. Tuttavia assumere quotidianamente curcuma nel modo giusto aiuta nella prevenzione e ad arrestare la crescita del cancro. Il Dr. Wang ha detto: “C’è tutto il potenziale per l’uso della curcumina come terapia adiuvante per il cancro. Non è tossica, è ben tollerata, è a buon mercato e facilmente reperibile in qualsiasi negozio di alimentari. Anche se questo è uno studio pilota è importante ampliare il nostro lavoro a più pazienti per confermare i nostri risultati.

    Bisogna ricordare che per ottenere i massimi benefici dalla curcuma bisogna prima di tutto acquistare curcuma di ottima qualità oppure direttamente integratori di curcumina. La curcuma è liposolubile, che significa che si scioglie nei grassi. Senza grassi, il componente attivo della curcuma, la curcumina, ha difficoltà nel passare lo stomaco, l’intestino tenue, e arrivare nel sangue in cui può fornire i maggiori benefici

    Per questo la curcuma è tradizionalmente mescolata con un grasso sano e riscaldata. Aggiungi una manciata di pepe nero per attivarla. Quindi il modo ideale è mescolare della curcuma e del pepe (ne basta pochissimo) in olio di oliva, scaldarlo (non eccessivamente) e poi assumerlo direttamente o usarlo come condimento.

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  • UN PERICOLO CHE A VOLTE NON SI VEDE: L’ANISAKIS

    C_4_ricetta_583_upiFotoConsumare pesce crudo è nella cultura culinaria Italiana, specie  dagli abitanti dell’Adriatico meridionale;questa cultura ormai in espansione in tutta la penisola grazie alla cucina giapponese ormai  in voga negli ultimi anni.

    Non tutti sanno che il pesce crudo può essere contaminato da microrganismi come Listeria, Escherichia Coli, Salmonella (batteri che si possono trovare anche in altri alimenti come carni, latte crudo e suoi derivati) e da un parassita intestinale  “ANISAKIS”,  quindi consumandolo crudo comporta una maggiore esposizione ad intossicazioni, infezioni causate da batteri patogeni o da parte di parassiti ed in alcuni casi, in soggetti particolarmente deboli come bambini, anziani o immunodepressi  il rischio risulta essere maggiore in quanto potrebbe sopraggiungere la morte.

    Che cos’è l’Anisakis

    800px-Anisakiasis_01_(Versione_Italiana)L’Anisakis svolge il suo ciclo biologico in ambiente marino, le uova vengono rilasciate in mare dalle feci dei mammiferi marini, alla loro schiusa, le larve vengono ingeriti da crostacei che costituiscono il krill, questo a sua volta diviene cibo per pesci ed è qui che l’Anisakis si sviluppa l’ultimo stadio larvale che può passare direttamente al suo ospite definitivo (mammiferi marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi in un ospite accidentale quale può essere l’uomo se consuma pesce crudo o poco cotto.

     

     

     

     

    Anisakiis 2 L’Anisakis è estremamente diffuso, poiché è presente in più dell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi. Questi nematodi migrano dalle viscere del pesce alle sue carni se, quando catturato, non viene prontamente eviscerato. Quando l’uomo mangia pesce infetto crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve possono impiantarsi sulla parete dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon. Per difendersi dai succhi gastrici, attaccano le mucose con grande capacità perforante, determinando una parassitosi acuta o cronica. La parassitosi acuta da Anisakis insorge già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo e si manifesta con intenso dolore addominale, nausea e vomito.

    La malattia nell’uomo è diffusa in Asia ed in particolare in Giappone (ca. 2.000 casi/anno). In alcuni Paesi europei (Olanda, Germania, Spagna, Francia, Norvegia, Italia, ecc.) e negli Stati Uniti ogni anno si segnalano casi sporadici di malattia; Non esistono aree di pesca indenni da parassiti anisakidi.

    Come evitare l’Anisakis

    Una circolare del ministero di sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia (il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a 60 gradi di temperatura, oppure dopo 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

    I pericoli maggiori provengono dai ristoranti e dal consumo casalingo. Purtroppo non tutti i ristoranti seguono queste indicazioni, poiché i casi sono in aumento e la causa è spesso da imputare ad alici marinate, evidentemente non sottoposte a congelamento preventivo.

    Se pensate che il rischio anisakis sia molto basso e gli allarmismi siano eccessivi, sappiate che ogni settimana vengono ritirate dal mercato partite di pesce infestato dal parassita, e stiamo parlando di pesce fresco italiano e di provenienza estera.

    Per evitare contaminazioni, basta utilizzare piccole precauzioni:

    1. assicurarsi il pesce crudo o marinato che stiamo mangiando nel ristorante sia stato sottoposto a trattamento termico adeguato;
    2. evitare di mangiare pesce crudo in ristoranti pseudo giapponesi (stanno proliferando negli ultimi anni);
    3. quando acquistiamo pesce fresco per consumarlo crudo, evisceriamolo immediatamente, laviamolo e congeliamolo a -18 per almeno una settimana.

    Vuoi avere maggiori informazioni ? Contattami

     

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  • CHEMIOTERAPIA: DIGIUNARE PER AFFRONTARLA MEGLIO

    BRACC ROSSIDigiunare dalle due alle tre volte a settimana permette di reagire meglio alla chemioterapia. Il digiuno occorre metterlo in atto il giorno prima della terapia, durante la terapia e il giorno dopo della terapia.

    A volte è difficile restare a digiuno per tre giorni consecutivi, a tal proposito Valter Longo Professore di Biogerontologia e Direttore dell’Istituto sulla Longevità all’USC (University of Southern California) – Davis School of Gerontology di Los Angeles e direttore del programma di Oncologia e longevità in IFOM consiglia un pranzo leggerissimo a basso indice glicemico a base di verdure a foglia verde.

    Gli effetti positivi del digiuno sulla chemio sono legati ai livelli bassi di glicemia, bassi livelli di IGF (fattore stimolante l’invecchiamento), inoltre digiunare riduce drasticamente l’insorgenza di nausea e vomito i quali rappresentano gli effetti collaterali più temuti dai soggetti che devono sottoporsi a una chemioterapia per un tumore perché hanno un grande impatto sulla qualità di vita. La nausea e il vomito possono anche influenzare l’andamento della terapia perché se non sono controllati in modo adeguato possono spingere il soggetto a interrompere la terapia e a non fare i cicli successivi che invece sono fondamentali. Inoltre nausea e vomito possono causare anoressia e disidratazione con un conseguente calo delle riserve nutritive e dei sali minerali.

    La privazione temporanea di cibo fa calare il numero di cellule immunitarie del sangue come i globuli bianchi, che ritornano a livelli normali quando si ricomincia a mangiare. Un nuovo studio ha dimostrato che questo fenomeno, scoperto nei topi, consente ai malati di tumore di resistere meglio agli effetti collaterali della chemioterapia che colpiscono in particolare il sistema immunitario.

    Un periodo di digiuno può indurre un maggiore ricambio delle cellule staminali nel sangue, aiutando il sistema immunitario a resistere agli effetti negativi della chemioterapia e anche alla normale degenerazione dovuta all’invecchiamento.

    Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Cell – Stem Cell” da Valter Longo e colleghi della University of Southern California, che hanno verificato questo fenomeno su alcuni pazienti oncologici, dopo averlo scoperto in una sperimentazione sui topi. Il risultato potrebbe avere importanti ricadute per la salute e la qualità della vita di pazienti in chemioterapia, anziani e persone con deficit del sistema immunitario.

    La chemioterapia è, insieme alla radioterapia e alla chirurgia, il trattamento più utilizzato e più efficace contro il cancro. Può produrre tuttavia notevoli effetti collaterali, tra cui il depauperamento delle cellule del sistema immunitario: si calcola che circa un quinto dei decessi dei malati oncologici sia accelerato o addirittura causato dalla chemioterapia. Il sistema immunitario, inoltre, si degrada inevitabilmente con l’età, portando in alcuni casi a una condizione di immunodeficienza ed esponendo a un maggior rischio di sviluppare leucemie e altre neoplasie.

    In un precedente studio, Longo e colleghi avevano scoperto che privando temporaneamente del nutrimento alcuni topi di laboratorio, si riusciva ad aumentare la resistenza delle loro cellule staminali a determinati fattori di stress. in quest’ultimo lavoro hanno dimostrato che lo stesso digiuno ha effetti protettivi per le cellule immunitarie presenti nel sangue, come i globuli bianchi.

    “Il digiuno prolungato determina una notevole riduzione del numero di globuli bianchi, che tuttavia tende a recuperare i valori normali quando i roditori riprendono
    ad alimentarsi: si tratta probabilmente di un meccanismo sviluppato con l’evoluzione che permette di ridurre il consumo energetico nei periodi di mancanza di cibo”, ha spiegato Longo. “Questo stesso fenomeno ha l’effetto di indurre le cellule staminali a porsi in una modalità in cui riescono non solo a generare altre cellule immunitarie, ma anche a invertire l’immunosoppressione causata dalla chemioterapia: il sistema immunitario dei topi ne risultato ringiovanito”.

    La rilevanza è dovuta al fatto che la protezione contro la perdita di globuli bianchi si verifica anche negli esseri umani. Gli autori lo hanno verificato nell’ambito di uno studio clinico in pazienti che hanno digiunato per un singolo periodo di 72 ore prima della chemioterapia a base di platino.

    Inoltre, il digiuno sembra avere effetti positivi anche sulla riduzione dei livelli di IGF-1, una proteina con un ruolo chiave nella crescita nell’invecchiamento. Per questo, l’ipotesi degli autori è che il digiuno possa essere di beneficio non solo per i pazienti oncologici, ma anche per anziani e persone con deficit immunitari.

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  • ACIDO ARACHIDONICO


    acidi_grassi_polinsaturi1L’acido arachidonico

    E’ un acido grasso poli-insaturo, ovvero che reca nella propria molecola più doppi legami carbonio-carbonio.

    L’acido arachidonico è un omega 6 presente nell’organismo umano ed è introdotto con la dieta (ad esempio assumendo olio di arachidi, da cui prende il nome), ma lo si può far derivare anche dall’acido linoleico che è un acido grasso essenziale omega 6 (presente ad esempio nell’olio di canapa o cannabis e nell’olio di semi di girasole). All’interno delle cellule è legato a fosfolipidi di membrana (fosfatidilinositolofosfatidilcolinafosfatidiletanolamina).

    Sintesi e cascata

    L’acido arachidonico è liberato dalla molecola di fosfolipide dall’enzima fosfolipasi A2, restituendo così il monogliceride fosfato e una molecola di acido arachidonico. Una seconda via, minoritaria, di liberazione dell’acido arachidonico è quella che prevede la scissione del diacil glicerolo fosfato (DAG) precedentemente originatosi dalla scissione del fosfatidil inositolo difosfato PIP2 da parte della proteina Gq.

    L’acido arachidonico è un precursore nella sintesi degli eicosanoidi:

    La produzione di questi derivati, e la loro azione nell’organismo, sono nel complesso conosciuti come la cascata dell’acido arachidonico

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  • IL RUOLO DELL’ACIDO ARACHIDONICO NELLA SCLEROSI MULTIPLA

    imagesLe infiammazioni nel cervello e nel midollo spinale vengono attivate e mantenute attive nel corpo dai mediatori dell’infiammazione. Questi mediatori sono prodotti dall’organismo per mezzo di un acido grasso: ” L’acido arachidonico.  

    L’uomo però ha anche bisogno dell’acido arachidonico per importanti reazioni metaboliche: l’organismo stesso ne produce in quantità ridotte, ma sufficienti. Questo processo è regolato e limitato. La quantità effettiva di acido arachidonico presente nel corpo dipende dall’apporto esterno, ossia dalla quantità di acido arachidonico che una persona assume attraverso l’alimentazione. Pertanto chi è affetto da SM dovrebbe limitare il più possibile l’assunzione di acido arachidonico per evitare di favorire l’insorgenza di nuovi focolai di infiammazione.

    Contenuto di acido arachidonico negli alimenti

    Attenzione ai grassi animali: sono particolarmente ricchi di acido arachidonico, che favorisce l’infiammazione. Per questo motivo si consiglia di consumare carne, insaccati, uova e altri prodotti animali il meno possibile. Al contrario, gli alimenti vegetali non contengono acido arachidonico, quindi sono particolarmente indicati per i pazienti affetti da SM. Un’alimentazione prevalentemente vegetariana può favorire il regresso dell’infiammazione.

    Gli alimenti vegetali contengono inoltre una grande quantità di pigmenti (i coloranti che ad esempio rendono i peperoni rossi, gialli o verdi), sostanze odorose e aromi. Queste sostanze vegetali, dette “secondarie”, svolgono tantissime funzioni protettive nell’organismo umano: possono rinforzare il sistema immunitario, proteggere il corpo dai radicali liberi ed eliminare gli agenti patogeni.

    Sostanze nutritive antinfiammatorie e vitamina D

    Alcune sostanze nutritive inibiscono la reazione infiammatoria e perciò sono particolarmente raccomandate. Tra le più importanti vi è un altro acido grasso, l’acido eicosapentaenoico (in breve EPA). A questo acido è attribuito un effetto antinfiammatorio, che raggiunge il massimo quando nell’organismo vi è una bassa percentuale di acido arachidonico. Il pesce contiene una quantità particolarmente elevata di EPA. A questo proposito è necessario fare un’osservazione interessante: nelle regioni costiere, dove il consumo di pesce è elevato, vi è una minore incidenza della SM rispetto ad altre regioni.

    Consumando molto pesce, facciamo un doppio piacere al nostro corpo: il pesce non soltanto ha un altissimo contenuto di EPA, ma contiene anche tanta vitamina D. In generale, le vitamine sono composti importanti per l’uomo, poiché influenzano quasi tutti i processi fisiologici. Le vitamine devono essere apportate con l’alimentazione, perché il corpo non è in grado di sintetizzarle da solo. Solo la vitamina D viene creata dall’organismo stesso, quando riceve una quantità sufficiente di luce solare. Tuttavia, è possibile aumentare il tenore di vitamina D nell’organismo in qualsiasi momento assumendo latticini.

    La trasformazione dell’acido arachidonico nei mediatori dell’infiammazione è un processo ossidativo. Le vitamine A, E, C e alcuni microelementi (ad es. il selenio e lo zinco) hanno proprietà antiossidanti e quindi antinfiammatorie. Inoltre, rivestono un ruolo importante nella prevenzione delle lesioni e delle malattie vascolari.

     

    Come evitare di assumere troppo acido arachidonico:

    – Rinunciare a burro e strutto, preferendo la margarina dietetica, che contiene una quantità particolarmente elevata di grassi vegetali ad alto valore nutritivo. Se non si intende rinunciare completamente al burro, scegliere quello semigrasso e utilizzarlo solo in piccole quantità.

    – Preferire gli oli vegetali ad alto valore nutritivo. Sono consigliati l’olio di colza, di oliva e di soia, che hanno una composizione degli acidi grassi particolarmente favorevole. Anche l’olio di noci e quello di nocciole, che danno un tocco particolare alle insalate, sono consigliati.

    – Le noci e le nocciole contengono non soltanto oli vegetali ad alto valore nutritivo, ma anche selenio, dall’azione antiossidante, e importanti vitamine. È bene inserire regolarmente nella dieta legumi come lenticchie e ceci.

    – Mangiare pesce 2 o 3 volte la settimana. Il pesce, in particolare le specie più ricche di grassi come le aringhe, il salmone e lo sgombro, contengono una quantità particolarmente elevata di acido eicosapentaenoico (EPA), mentre hanno un ridotto tenore di acido arachidonico. Inoltre il pesce contiene tanta vitamina D. Una sola eccezione: il tonno è sconsigliato per il contenuto estremamente elevato di acido arachidonico!

    – Mangiare meno carne possibile (max. 80 g due volte la settimana) e rinunciare agli insaccati.

    – Non mangiare più di due uova la settimana. Il tuorlo ha una quantità particolarmente elevata di acido arachidonico.

    – Preferire la pasta classica a quella all’uovo.

    – Anche i latticini, che forniscono sostanze importanti come il calcio e la vitamina D, contengono acido arachidonico. Minore è la percentuale di materia grassa, minore è il tenore di acido arachidonico, senza che la quantità di calcio venga alterata. Vanno preferiti quindi i latticini magri (1,5% di grassi), il quark magro, la panna acida al 10% e il formaggio magro con al massimo il 45% di materia grassa.

     

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  • ALIMENTAZIONE E TUMORI

    cibi_sani-300x300-300x300Anche per le persone a cui è stato diagnosticato un cancro, un’alimentazione adeguata aiuta ad affrontare i malesseri provocati dalla malattia o gli effetti collaterali delle cure.

    La selezione degli alimenti, insieme alla loro distribuzione nel corso della giornata, influiscono sul modo in cui il paziente può:

    La malattia

    Molte forme di cancro si associano a una perdita di peso, che può anche essere importante: si calcola che fino al 40% dei pazienti oncologici sia già dimagrito al momento della diagnosi o abbia problemi di nutrizione. Questo fenomeno, che non riguarda solo i tumori dell’apparato digerente, è determinato da vari fattori tra cui:

    • l’aumento del metabolismo basalead opera delle cellule tumorali, che porta a una riduzione del peso a parità di apporto calorico;
    • la riduzione dell’appetito: una persona malata può essere molto debole, soffrire di depressione, avere dolori vari non ben controllati, avere nausea o vomito, tutte situazioni che tolgono la voglia di mangiare.

    Occorre tuttavia fare il possibile per seguire una dieta bilanciata al fine di:

    • affrontare meglio le terapie;
    • ottimizzare l’effetto dei farmaci
    • combattere le infezioni;
    • far funzionare al meglio il sistema immunitario.

    Mangiare in ospedale e a casa

    Per molti pazienti mangiare a sufficienza è un vero e proprio sforzo, che richiede comprensione da parte di chi li assiste. Negli ospedali, i pasti vengono serviti a orari fissi, spesso diversi da quelli a cui le persone sono abituate, condizione che non favorisce l’alimentazione del malato. Altre volte i pasti vengono serviti mentre il malato è fuori dal reparto per eseguire un esame, per cui al suo ritorno sono freddi e poco appetibili.

    O ancora, la scarsità di personale non permette di assistere il paziente durante il pasto. Per quanto comuni, queste situazioni devono essere arginate: si potrebbe chiedere ai familiari di portare alimenti più graditi, farsi riscaldare i cibi dagli infermieri o ottenere la collaborazione di volontari, parenti o amici al momento del pasto. Questo è un aspetto che non va mai sottovalutato, anche ai fini dell’evoluzione della malattia.

    D’altra parte, per molti pazienti oncologici solo l’idea di mangiare può essere fonte di stress e ansia, mentre per i loro cari la difficoltà a nutrirli può essere molto frustrante. Chi sta vicino a un malato di cancro può aiutarlo in molti modi, ma non dovrebbe costringerlo a mangiare contro voglia, né risentirsi se i suoi sforzi non ottengono i risultati sperati, né tantomeno colpevolizzare il paziente. Parlarne in famiglia, e con personale specializzato, dal nutrizionista allo psicologo, può essere di grande aiuto per scegliere i cibi più adatti e la modalità più corretta per proporli.

    Fronteggiare gli effetti collaterali delle cure

    Non è solo la chemioterapia a provocare sgradevoli effetti collaterali: anche i nuovi farmaci biologici, la radioterapia o le conseguenze di un intervento chirurgico possono causare nausea e vomito, stipsi o diarrea, inducendo anche perdita di appetito. La nausea, in particolare, interessa quasi il 70% dei pazienti sottoposti a chemioterapia e rimane uno dei problemi più difficili da gestire anche con l’introduzione di farmaci di nuova generazione. Un aiuto inaspettato però può arrivare proprio dal cibo: piccole dosi di zenzero o prodotti a base di menta possono contribuire a ridurre questo sintomo, ma sono moltissimi gli accorgimenti che si possono adottare per seguire una dieta il più possibile corretta ed equilibrata, in modo da aiutare l’organismo a rispondere alle cure riducendo al minimo  questo e altri effetti collaterali.

    Eccone alcuni, illustrati in un recente manuale pubblicato dall’American Cancer Society, per contrastare:

    • Nausea e vomito
    • Perdita di appetito
    • Stipsi
    • Diarrea
    • Spossatezza
    • Fastidi in bocca
    • Vampate

    Contrastare crescita o ricomparsa del tumore

    È ormai assodato che una sana alimentazione, ricca di cereali integrali e legumi, frutta e verdura, con poca carne rossa e una fortissima riduzione del consumo di bevande zuccherate e carni conservate, protegge dallo sviluppo di tumori e sembra possa contrastare efficacemente anche l’insorgenza di recidive. È dunque consigliabile seguire le raccomandazioni del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro Cancro e i consigli del Nuovo Codice Europeo Contro il Cancro.

    In più occorre prestare attenzione ad alimenti apparentemente innocui, ma che possono interferire con alcune specifiche terapie. Il pompelmo e il suo succo, per esempio, possono bloccare l’azione di enzimi importanti per l’assorbimento e il metabolismo di alcuni farmaci, e in questo modo ridurne l’efficacia. È molto importante quindi attenersi alle indicazioni del medico che di volta in volta saranno fornite al paziente a questo proposito.

    Non bisogna poi dimenticare che lo stesso effetto può essere indotto anche da alcuni prodotti di erboristeria, come ginseng, gingko biloba e aloe, che talvolta possono essere presi senza pensare di consultare il proprio medico, a cui invece bisogna sempre fare riferimento.

    Il tumore al seno: “ un caso a parte”

    Se il problema della maggior parte dei pazienti oncologici in relazione all’alimentazione è la perdita di peso, le donne operate al seno e in terapia adiuvante tendono invece a ingrassare. Oltre a incidere negativamente sull’umore, questo fenomeno potrebbe peggiorare la prognosi, incidendo sul delicato equilibrio ormonale, soprattutto per quanto riguarda il metabolismo dell’insulina.

    L’Istituto nazionale tumori di Milano sta verificando se un’alimentazione appropriata può migliorare la prognosi di queste pazienti. A questo scopo il progetto Diana 5 sta sperimentando su più di 2.000 donne operate al seno un’alimentazione basata prevalentemente su cereali integrali, legumi, verdure di stagione, con un po’ di frutta e semi oleaginosi, e solo occasionalmente cibi di origine animale, associata alla pratica quotidiana di un minimo di esercizio fisico. Da questi cambiamenti ci si attendono meno recidive del tumore al seno ma anche una minore frequenza di diabete, malattie di cuore, fegato grasso, artrosi e malattie neurodegenerative. È comunque importante seguire le cinque raccomandazioni pubblicate dal Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro rivolte proprio alle donne che hanno avuto diagnosi di tumore al seno che sono:

    • mantenere un peso corporeo salutare;
    • essere fisicamente attive, facendo almeno una camminata di 30 minuti tutti i giorni;
    • mangiare cibi che contengono fibra (come cereali integrali, legumi e ortaggi);
    • mangiare soia o cibi a base di soia;
    • ridurre l’assunzione dei grassi totali e, in particolare, grassi saturi.
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  • LA CIRROSI EPATICA

    dieta-cirrosiLa cirrosi epatica è una malattia cronica IRREVERSIBILE caratterizzata da degenerazione, indurimento, cicatrizzazione e perdita funzionale delle cellule del fegato.

    Cause

    La cirrosi epatica può avere cause multifattoriali ed in base ad esse, la dieta riveste un ruolo più o meno importante nel decorso patologico:

    La forma di cirrosi più influenzata dalla dieta è la cirrosi alcolica, anche se negli ultimi anni l’importanza dell’abuso di alcol in riferimento all’insorgenza della cirrosi è stata drasticamente rivalutata. Tutte le forme degenerative del fegato che un tempo venivano classificate univocamente con il termine cirrosi, ad oggi sono differenziate accuratamente in base all’agente scatenante; inoltre, con la scoperta dei virus e delle infezioni virali epatiche si è capito che l’alcol più spesso svolge una funzione sinergica, ma raramente è coinvolto nella patogenesi primaria della cirrosi alcolica. Nella dieta, l’alcol riveste un ruolo visibilmente tossico a partire dal consumo di 50g/die (5 birre da 330ml o 5 bicchieri di vino da 125ml) protratto in un lunghissimo periodo, pertanto, è possibile affermare che il rischio patogenetico di cirrosi alcolica sia esclusivo dei soggetti affetti da alcolismo cronico.
    Terapia della cirrosi epatica

    Il trattamento terapico della cirrosi epatica prevede:

    • Allontanamento del malato dai fattori di rischio e da quelli eziologici
    • Dieta equilibrata e specifica (giusto apporto proteico/amminoacidico e di sodio alimentare)
    • Impiego di farmaci per ridurre le complicanze della cirrosi (ad esempio diuretici per l’ascite)
    • Riposo a letto (che facilita il ritorno venoso)
    • Paracentesi evacuativa (procedura attraverso la quale, mediante l’utilizzo di una siringa ed un ago, si preleva il liquido ascitico contenuto nella cavità addominale; quando si prelevano solo pochi centimetri cubi di liquido allo scopo di analizzarlo la paracentesi viene chiamata esplorativa. Se il liquido addominale è abbondante e crea senso di gonfiore si possono prelevare quantità maggiori e la procedura prende il nome di paracentesi evacuativa).Nonostante la cirrosi epatica sia una malattia a decorso irreversibile e spesso infausto (elevata correlazione tra cirrosi epatica eepatocarcinoma), se ben trattata, è possibile rallentarne drasticamente l’avanzamento degenerativo e favorire la rigenerazione indispensabile del fegato; ovviamente, questo dipende dallo stato della malattia, dalla terapia e dall’agente eziologico primario. In caso di cirrosi alcolica, la sospensione definitiva dell’abuso comporta un MAGGIOR ripristino della funzionalità epatica rispetto al trattamento delle altre forme cirrotiche.
      In stato di cirrosi compensata è sufficiente eliminare l’agente eziologico (cura antivirale, eliminazione dell’alcol, eliminazione dei tossici o dei farmaci) e ripristinare una dieta equilibrata.La dieta per la cirrosi compensata, oltre a rispettare scrupolosamente tutti i requisiti per una sana e corretta alimentazione, dev’essere particolarmente attenta a garantire un apporto proteico di circa 1,2g/kg di peso corporeo; in caso di inappetenza può essere utile l’integrazione. Al contrario, la dieta per la cirrosi scompensata dipende molto dalle condizioni cliniche del soggetto; le complicanze secondarie incidono significativamente sullo stato di salute e spesso necessitano l’adozione di nutrizione artificiale. E’ il caso dell’encefalopatia, che necessita la riduzione proteica fino a 0,5g/kg al fine di migliorare il bilancio azotato, o della sindrome epatorenale, che al contrario ne aumenta il fabbisogno in quanto favorisce l’escrezione proteica del plasma con le urine. In assenza di encefalopatia si consiglia di mantenere un apporto proteico di circa 1,5g/kg.
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  • SEI UN TIPO INTOLLERANTE?

    ANALISI – Food Intolerance Test
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    Da oggi, presso il nuovo studio sito a Maniago in Via Fabio di Maniago, 15/b è possibile effettuare la valutazione immunoenzimatica di intolleranza verso 46, 92 e 184 alimenti con l’impiego della metodica ELISA standardizzata. Vengono quantificate le IgG del paziente nei confronti di estratti proteici alimentari standardizzati la cui produzione e gli scrupolosi controlli di qualità vengono effettuati presso i laboratori Natrix. La metodica ELISA è caratterizzata da un alto grado di ripetibilità e un’affidabilità oltre il 90% ed è approvata dalla comunità scientifica.
    INTOLLERANZE IgG-MEDIATE E IPOTESI EZIOPATOGENETICHE PREDISPONENTI
    Disbiosi intestinale, carenze mineral-vitaminiche, alterato assorbimento intestinale di macromolecole, agenti stressanti: contaminanti, additivi, adulteranti presenti nell’ambiente e nei cibi, errate abitudini alimentari
    SINTOMI E PROBLEMI CORRELABILI ALLE INTOLLERANZE IgG-MEDIATE
    Sovrappeso, cellulite, ritenzione idrica, stanchezza cronica, difficoltà respiratoria, asma, tosse e raucedine eccesso di muco, rinofaringite, sinusite, bronchite ricorrente, colon irritabile (IBS), difficoltà digestive, gonfiore, disbiosi intestinale, senso di nausea, dolori addominali, iperacidità gastrica, colite aspecifica, stitichezza, disturbi della libido, infiammazioni uro-genitali, alterazione della pressione arteriosa, palpitazioni, extrasistole, aritmie, crampi, debolezza muscolare, dolori articolari e muscolari, infiammazioni muscolo-tendinee, mal di testa, alterazione dell’equilibrio, ansia,depressione, irritabilità, difficoltà di concentrazione, orticaria, acne, eczema, dermatite, prurito, seborrea.
    DIFFERENZE TRA ALLERGIE E INTOLLERANZE ALIMENTARI IgG-MEDIATE
    INTOLLERANZA ALIMENTARE IgG MEDIATA ALLERGIA IgE mediata
    • Reazione tardiva (48-72 ore), spesso • Reazione immediata (2-24 ore),
    dose dipendente non dose-dipendente
    • Mai causa di shock anafilattico • Conseguenze gravi fino allo shock anafilattico
    • DIAGNOSI Food Intolerance Test • DIAGNOSI IgE tot e specifiche

    QUANDO E A CHI CONSIGLIARE IL TEST
    • In presenza di uno o più di uno dei sintomi elencati, prima di avvicinarsi ad analisi o esami strumentali invasivi. In presenza di uno o più di uno dei sintomi elencati dopo aver già escluso altre patologie. Es.1 un paziente presenta test allergici negativi, ma continua a soffrire di dermatite.
    • In presenza di disbiosi intestinale, infiammazione intestinale, carenza mineralvitaminica
    • A chiunque voglia avvicinarsi ad uno stile alimentare più corretto che tenga conto di alimenti non tollerati e che insegni al paziente a seguire una alimentazione più varia e meno monotona, spesso causa di intolleranze IgG-mediate.

    Grazie al F.I.T. LOV, effettuato sempre mediante metodica ELISA ,è possibile offrire un servizio dedicato a chi sceglie il vegetarismo: non solo un regime alimentare, ma un vero e proprio stile di vita al quale aderisce un numero sempre crescente di persone, soprattutto in Italia.

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